Mi avevano in parte avvisato, ma è
stata durissima, molto più di quello che mi aspettassi.
No, ma mica la corsa, mi riferisco
all’organizzazione.
Eravamo io, Tiziano (è svincolato e a
settembre s’ingaggia), Paolo Bernini e Alessandro Angeli, avevamo
due auto, quattro borse e si doveva cambiarsi, partire da Reggello,
arrivare a Vallombrosa, ricambiarsi e tornare a casa a un orario
decente.
Alle 7:30 s’era in zona partenza a
cercare di risolvere il rebus capracavolistico.
Varie le ipotesi buttate sul piatto
nella tempesta di cervelli (passatemi l’esagerazione):
Si va su con due auto tutti e quattro e
si torna giù a corsa per la partenza / Va su uno con un’auto e 4
borse e scende con la navetta / Nessuno va a Vallombrosa prima, si
mandano su le borse col camion si fa la gara e si torna in giù a
corsa dopo / Si va su lasciando una macchina da Archimede e una da
Stroncapane e si sbuca fuori da un cespuglio quando passano i primi /
Uno va su a piedi lascia una macchina con le borse al Saltino torna a
corsa prende l’altra macchina e i tre e si va tutti in Secchieta a
veder se nasce i funghi / Si fa la gara con le borse a tracolla e si
torna in autostop.
Alla fine s’è dovuto chiamare il
Massini che ci ha fatto uno schemino su un foglio per spiegarci come
ci si doveva muovere.
La gara in sé era rovinata già dalla
sera prima e dal gruppo Whatsapp nello specifico. Alle 22 io, Paolo e
Alessandro abbiamo cominciato con i primi timidi messaggi cercando di
organizzare il viaggio, alle 23 abbiamo creato un sottogruppo a tre
ristretto dove comunicare senza rompere le palle a tutti. Alle 24
abbiamo preso a parlare di quella cosa che ci fa battere il cuore che
inizia per F e finisce per A. All’una di notte, stanchi di parlare
di calcio, abbiamo scoperto le faccine su Whatsapp. Alle 2 io stavo
ancora cercando di decifrare i messaggi dei compari per capire dove
dovevamo trovarci e a che ora, messaggi scritti esclusivamente in
faccinese. E alle 6 c’era la sveglia.
L’unico che in partenza si mostrava
bello e riposato era il top runner Giovanni Miniati che era andato a
dormire alle 21 in una camera senza finestre e senza TV e con il suo
babbo piantone armato alla porta.
Era così sveglio, Giovanni, che quando
in partenza ho tentato il magheggio di scambio chip (il mio con il
suo) mi ha sgamato subito. E pensare che mi ero allenato per
settimane per quest’operazione, avevo preso pure il Polase.
La gara - Son partito tra gli ultimi
cosicché superare qualcuno mi desse un po’ di carica positiva e
sono andato su del mio passo. Dopo Pietrapiana, dove già avevo perso
tutti i miei riferimenti societari, mi son messo dietro a un
gruppetto della Misericordia di Chiesanuova perché pensavo che a
mezza salita tirassero fuori la schiacciata. Quando ho realizzato che
mi sarebbe stata più utile la misericordia della schiacciata li ho
lasciati liberi di andare.
Il clima fresco aiutava anche i più
lenti a scalare i tornanti dignitosamente, la salita non presentava
pettate particolarmente ripide e un passo via l’altro ci siamo
tuffati in un nebbione fantozziano che ci ha portato fin quasi
all’arrivo.
Comunque al nono chilometro,
sull’ultimo strappo, quando mi sono ingarellato con uno anziano,
più di me, a un certo punto dalla fatica ho visto la Madonna. Che
difatti poi all’arrivo ce l’hanno data stampata sulla
medaglietta. (*)
La classifica parla chiaro e riporta
anche il distacco in metri, cosa che ci consente di fare alcune
considerazioni: quando sono arrivati al traguardo Tiziano e Paolo io
ero al Saltino, quando è arrivato Alessandro ero da Stroncapane,
quando è arrivato Giovanni ero ancora al casello d’Incisa.
Mi spiace per Paolo che ha accusato
fitte al ginocchio che lo hanno costretto a camminare dal decimo km
in poi, se s’arrivava a Cetica magari lo ripigliavo.
(*) – Scoprirò solo a casa,
inforcati gli occhiali e sotto un riflettore, che NON trattasi della
Vergine Maria bensì di San Giovan Gualberto fondatore dei frati
vallombrosani.
A’ Giovangualbe’… e tagliati ‘sti
capelli!
Furio